La scuola è da sempre luogo di formazione, crescita e relazione. Tuttavia, dietro le aule, i programmi e i registri digitali, esistono storie poco raccontate: quelle dei docenti che, pur lavorando con dedizione e coscienza, si ritrovano improvvisamente ignorati, isolati e lasciati soli di fronte a un malessere profondo. All’interno di un noto gruppo scolastico di Facebook, è stata pubblicata la testimonianza di una maestra di ruolo della scuola primaria. Una voce che, con lucidità e rispetto, denuncia un clima professionale pesante, fatto di silenzi istituzionali e assenza di ascolto. Una voce che merita di essere ascoltata, perché ogni atto di condivisione è anche un atto di giustizia.
Quando il silenzio fa rumore: la testimonianza di una maestra abbandonata al suo malessere
Un anno scolastico difficile: tra isolamento e silenzi
La docente, che per ovvie ragioni di riservatezza mantiene l’anonimato, racconta di un anno segnato da ostacoli relazionali e da una codocenza imposta e priva di collaborazione. Ma ciò che più l’ha ferita è stato il silenzio della dirigenza: nessuna risposta, nessun confronto, nessun ascolto.
“Ho protocollato lettere, chiesto dialogo, documentato tutto. Mai un gesto, mai una parola. Solo silenzio” – ha confidato la maestra. Un silenzio che, come sottolinea, non è mai neutro. È una forma di scelta, una modalità di esclusione che colpisce profondamente la dignità professionale di chi lavora nella scuola con serietà e senso di responsabilità.
La mancanza di ascolto come forma di esclusione
Quando il disagio viene ignorato, la scuola tradisce la sua stessa missione. L’educazione, infatti, non può prescindere dal rispetto e dall’ascolto reciproco. Ed è proprio questo il nodo centrale della lettera: la contraddizione profonda tra ciò che si insegna ai ragazzi e ciò che spesso si sperimenta come adulti nella realtà scolastica.
“Non si può chiedere rispetto agli alunni se non lo si garantisce ai docenti. Non si può educare all’ascolto se chi guida una scuola risponde con il gelo.” La testimonianza diventa così uno specchio per tutto il sistema scolastico, una riflessione amara ma necessaria sulle responsabilità e sul bisogno urgente di relazioni professionali fondate sull’empatia e sulla cura.
Dal silenzio alla parola: una scelta di coscienza
La docente ha scelto di raccontare, di lasciare traccia scritta del suo vissuto. Non per alimentare polemiche, ma per portare alla luce ciò che spesso resta sommerso. La sua è una lettera che si rivolge a tutti quei colleghi che, almeno una volta, si sono sentiti invisibili in sala docenti o lasciati soli davanti a difficoltà relazionali.
“Scrivo questo per chi ha vissuto qualcosa di simile. Per chi ha cercato dialogo e ha ricevuto solo silenzio. Non è avvelenamento. È coscienza. E a volte, è giusto che resti memoria.”
Una memoria collettiva, che parla non solo di dolore, ma anche di dignità. E che chiede alla scuola – tutta – di non voltarsi dall’altra parte.
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